Morte
di una strega è
un romanzo storico, ambientato nella Francia del XIV secolo. Da dove nasce
l’idea? Come mai ha deciso di ambientare il romanzo proprio in quest’epoca?
Adémar de Cly è un personaggio che ha avuto una breve comparsa in un altro mio romanzo. Ma era un buon personaggio, e quindi meritava lo sviluppo della sua storia. L’epoca è stata, ovviamente, già determinata da quella apparizione. E Morte di una Strega non sarà il suo unico romanzo.
Nel
tuo romanzo sei riuscita a ricostruire in modo accurato gli avvenimenti di quel
periodo, fornendo al lettore attente descrizioni. Quanto lavoro c’è dietro il
tuo ultimo libro?
Una buona preparazione può richiedere anche tre o quattro mesi ed è, in effetti, una parte molto divertente del lavoro, perché permette di scoprire personaggi storici ed eventi molto spesso sconosciuti, o conosciuti in modo approssimativo.
Per quanto riguarda Morte di una Strega l’ambientazione è stata facile, perché i luoghi mi sono famigliari, e il periodo storico è da sempre nei miei interessi. Quindi si tratta di “ripassi” o approfondimenti, o ricerca di particolari. Ma il tutto è facilitato dal fatto appunto di studiarli da sempre. In linea di massima, e questo vale per ogni mio romanzo storico, il tutto inizia non appena stabilita la vicenda nei suoi punti essenziali, con i personaggi principali e gli avvenimenti storici reali che intendo coinvolgere; quindi procedo con la visitazione in dettaglio dei luoghi in cui gli eventi si svolgono, dal punto di vista geografico e storico locale. La ricerca si allarga quindi a contemplare il periodo storico generale. Infine si occupa dei punti “pratici”: studio dell’ambiente, architettura, usi e costumi, abitudini alimentari, vestiario, armi, modo di viaggiare, modo di combattere, ordinamento sociale, arti e mestieri, commercio, e così via. Perché il lettore deve essere assolutamente calato nel mondo di cui sta leggendo, e deve poter sentire i profumi e gli odori, vedere i colori e sentire le musiche, toccare le pietre e ascoltare le voci. Se questo non avviene, per me significa che nel romanzo qualcosa non funziona.
Adémar
e Isaline sono i protagonisti di Morte di una strega. Come sono nati
questi due personaggi?
I personaggi arrivano all'improvviso, inaspettati, in un momento qualsiasi; magari incontrando una targa a un angolo di strada, o scoprendo un opuscolo in qualche piccola libreria di paese... ti sussurrano all'orecchio: riportami alla vita. E tu sei perduta, perché da quel momento di quel personaggio devi sapere tutto, e poi arriva la Storia e nasce il romanzo. E' stato così con il capitano Lacazette di Il Margine dell'alba e con Vercingetorige di Absedium, respirando l’aria dell’oppidum di Gergovia nell’Alvernia. È sempre così.
Ma Adémar, come ho già detto, è nato nell'ambito di un altro romanzo, di cui era un inserto, e ora ha quello che sarà un ciclo tutto per sé. In quanto a Isaline, posso dire che si è creata da sola, come molti dei miei personaggi, quando la trama lo richiede.
Nel
tuo romanzo hai parlato di temi come la superstizione e la caccia alle streghe.
Cosa ne pensi a tal proposito?
Mi sono sempre occupata di questi temi; mi interessano come argomento di studio, come le antiche religioni, le antiche civiltà e i simbolismi di cui non ci rendiamo più conto. E davvero non è possibile scrivere di Medioevo senza trattare di superstizioni, di eresie e di caccia alle streghe; è un tempo in cui sono ancora presenti elementi pagani appena “assorbiti” dalla religione cristiana e la violenza di questo assorbimento è devastante. Senza tralasciare la posizione della donna, relegata a “essere inferiore”.
Come
presenteresti la tua ultima fatica letteraria a un lettore che ancora non ti
conosce? Come lo convinceresti a leggere il tuo ultimo romanzo?
Non penso che cercherei di convincere qualcuno a leggere un mio romanzo. Posso presentarglielo illustrando il periodo in cui è ambientato, se è di suo interesse. La quarta di copertina e magari una frase qui e là potrebbero convincerlo meglio… ma ciò che fa acquistare un romanzo è l’improvviso e assolutamente incomprensibile feeling che si forma prendendo in mano il libro (o vedendolo su uno store online, di questi tempi). E’ una specie di attrazione fatale.
Parliamo
un po’ di te e della tua carriera da scrittrice. I tuoi primi libri sono stati
pubblicati con lo pseudonimo di May I. Cherry. Come mai avevi deciso di
affidarti a uno pseudonimo? E cosa ti ha portato ad usare il tuo vero nome in
seguito?
Ho scritto il mio primo romanzo a quattordici anni pubblicandolo a diciassette daSonzogno. (Blue River, uscito nel settembre 1966). Era un corposo romanzo storico, ambientato nel 1792, all'epoca e nei luoghi della rivoluzione americana. Il primo di una lunghissima serie. Ma ero molto appassionata e sentivo molto "vicino" il periodo storico (1600/1700) della storia americana, successivamente ampliato fino a raggiungere il classico tempo della conquista dell’Ovest. Naturalmente studiavo storia americana e la ricerca storica era molto accurata (abitudine che ho mantenuto per tutti gli altri generi a cui successivamente mi sono dedicata). Dopo averlo rivisto e riletto per un anno, a sedici, con l'entusiasmo dell'età, l'ho spedito alla Direzione Editoriale della Sonzogno, che già pubblicava quel genere di narrativa e che aveva appena iniziato la collana “I nuovi Sonzogno”, affidando le copertine a Guido Crepax. Non avevo, ovviamente, nemmeno un nome a cui indirizzarlo. Ma è piaciuto, e mi hanno risposto dopo poco più di un mese accettandolo. Comunque, ho fatto tutto da sola: la stesura, la revisione, la ricerca dell'editore e anche la scelta dello pseudonimo, poiché era impossibile usare, a quel tempo, un nome italiano per quel genere di narrativa. Ma ero fermamente convinta delle mie possibilità di riuscita. E dopotutto avevo ragione, anche se, pensandoci ora, so di aver avuto dalla mia molta fortuna. E poi erano gli anni sessanta. Davvero quel tempo apparteneva a "un altro mondo". Ovviamente, cambiando genere, mi è sembrato ovvio usare il mio nome.
Oltre
al romanzo storico, hai trattato altri generi come il fantasy e la
fantascienza. Quant'è difficile spaziare da un genere all’altro? E con quale
hai trovato più difficoltà?
La curiosità, l'inseguire un'idea, il bisogno improvviso di tentare un nuovo mondo sono tutte motivazioni più che ragionevoli per cambiare gli scenari. Ognuno ha il proprio fascino. Diciamo che fantasy e fantascienza consentono più libertà, e comportano un lavoro diverso nella preparazione. Ma non ho mai trovato alcuna difficoltà nel muovermi tra i generi. Dopotutto io racconto storie di uomini e di donne, e sono sostanzialmente le stesse, in qualunque tempo e luogo siano ambientate.
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