E sono ben lieta di ritornare con un autore che mi ha davvero messo i brividi con il suo romanzo. Sto parlando di Pietro Gandolfi, autore di William Killed The Radio Star edito da Dunwich Edizioni [QUI la mia recensione].
Se amate l'horror vi consiglio di leggerlo. Se, invece, non è il vostro genere... vi consiglio di leggerlo lo stesso perché Gandolfi sa come stupirvi! Questa è la sua PAGINA FACEBOOK.
Curiosi di scoprire qualcosa di più su quest'autore?
-Ciao Pietro, benvenuto! Iniziamo con
una piccola presentazione, chi è Pietro Gandolfi nella vita di tutti
i giorni?
Ciao a tutti! Chi è Pietro? Pietro
è una persona normale, con un lavoro comune, ma che coltiva una
passione smodata per i mondi della finzione e combatte ogni giorno
per la realizzazione del suo sogno, ovvero fare arrivare le sue
storie a tutti e, magari, avere un giorno la possibilità di farlo a
tempo pieno. Non è facile ed è un impegno duro da mantenere, ma
fino a oggi non ho mai mollato, vuoi perché sono un sognatore, vuoi
perché sono davvero testardo!
-Quando e come è nato il tuo amore per
la scrittura?
Come per ogni autore tutto nasce
dalla passione per la lettura, ma nel mio caso non solo. I libri e i
fumetti sono una parte importantissima della mia vita, ma c’è
anche l’amore per il cinema e per la musica. Fin dall’età di
otto anni, gran parte del mio interesse si è indirizzato verso
l’horror. Fra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 c’era
campo fertile e la mia giovane mente è stata colpita da innumerevoli
stimoli: i libri di King, Barker, Laymon, lo splatterpunk, Dylan Dog
e tutti i fumetti che ne sono derivati. E ancora, il cinema di
Carpenter, Romero, Yuzna, Gordon… In generale mi sono identificato
con quell’orrore che ha origine dalla vita di tutti i giorni, dalla
gente comune, anche se poi si intreccia con il paranormale. Insomma,
non sono mai stato attirato in particolar modo dal gotico e dagli
incubi classici. Li conosco, li apprezzo, ma un conto è parlare di
Lovecraft, che ha inserito la sua mitologia nel suo presente, fra le
persone, un altro sono le storie ambientate in un passato lontano,
fra castelli e nobiltà.
-In cosa si distingue Pietro Gandolfi
dagli altri autori? Perché un lettore dovrebbe leggere i tuoi
romanzi?
Proprio per le ragioni di cui
parlavo prima. Dalle nostre parti c’è sempre un po’ di
pregiudizio verso chi decide di puntare verso un orrore più diretto,
più carnale. Non ha senso, si tratta di una sorta di timore
ingiustificato. Anche perché nelle mie storie non è che mi diverto
a elencare degli omicidi, c’è molta atmosfera, molto
approfondimento psicologico, solo non mi piace risultare rassicurante
e nemmeno voltare la testa dall’altra parte quando c’è da
affondare i denti. Le storie, lunghe o corte che siano, si basano su
un equilibrio, basta dosare i giusti elementi. E poi credo di essere
abbastanza agile nella narrazione: quando i lettori mi dicono di
avere terminato il libro in due giorni perché “dovevano” sapere
come andava a finire, mi sento gratificato: significa concentrare
l’interesse e non annoiare e se avessi uno stile eccessivamente
verboso finirei con lo scoraggiare il lettore. Non deve essere così,
perché leggere deve rimanere un’attività piacevole. Anche quando
si mettono in scena le paure.
-L'horror, in tutte le sue forme, è la
tua passione. Come mai hai deciso di dedicarti proprio a questo
genere?
Bella domanda. A volte mi è
capitato di dire che è il genere a scegliere te, non il contrario, e
forse è vero. L’orrore è un magnifico specchio nel quale possiamo
riflettere tutte gli spunti che desideriamo: anche l’idea più
innocua può essere trasformata in una folle danza e questo,
potenzialmente, non pone alcun limite. E alla fine credo tutto
risieda nei ricordi di quando ero bambino e guardavo i film horror
alla tv: è qualcosa a cui sono molto legato, comprese le amicizie
nate grazie a una passione in comune o certe esperienze personali.
Quando mi trovavo in montagna guardavamo a casa di amici i nostri
“filmacci”, solo che poi ero l’unico a dovere percorrere una
strada che costeggiava il bosco per tornare a casa. Era notte e
quando c’era la luna piena ogni ombra prendeva vita, senza parlare
dei rumori che provenivano dalla vegetazione. Detta così sembro un
po’ Cappuccetto Rosso! Bè, forse qualche volta c’è stata un po’
di paura, ma era nulla in confronto al fascino che tutto ciò
esercitava su di me.
-L'horror è un genere che in Italia
non gode di molte fama. Secondo te perché?
Perché a parte il periodo cui
accennavo prima, non abbiamo una tradizione continuativa. Abbiamo un
glorioso passato per quanto riguarda il cinema, tutto il mondo ci
invidia Argento, Bava, Fulci e Soavi, ma anche se abbiamo degli
ottimi, nuovi autori, faticano a emergere. Lo stesso può dirsi per
il fumetto: nella maggior parte dei casi sono solo bei ricordi. Per
quanto riguarda la letteratura è anche peggio… Firme prestigiose
le abbiamo avute e le abbiamo ancora, ma non c’è stata la volontà
da parte degli editori, o forse solo l’occasione, di dare forma a
un discorso più duraturo. Faccio un esempio: se ci rechiamo in
edicola possiamo trovare collane dedicate alla fantascienza, al
giallo, allo spionaggio, al rosa… ma non all’horror. A volte
penso sia l’etichetta a fare paura, anche perché poi, proprio
all’interno di alcune delle collane in questione, il nostro genere
ha fatto capolino. L’Italia è fatta di tradizioni, ci sono
personaggi o serie che proseguono da interi decenni e al contrario
nuove idee che faticano ad affermarsi persino per una manciata di
mesi. Nel nostro paese vedo una tendenza a interessarsi a tematiche
più reali, spesso legate ai fatti di cronaca: lo considero morboso,
accanirsi sulle vicende legate alle disgrazie di povera gente, fino a
renderle grottesche. Di conseguenza anche nella narrazione c’è una
ricerca di qualcosa che possa passare per reale. È l’equivalente
del rallentare con l’auto per osservare le vittime degli incidenti
stradali. E poi sono io che passo per quello strano, a causa delle
storie che invento…
Un discorso a parte andrebbe fatto
per gli editori: se davvero volessero puntare su autori horror,
avrebbero il potere di farlo. Mi riferisco a editori di un certo
peso, che con la giusta campagna pubblicitaria potrebbero rendere
accessibile qualsiasi cosa. Spesso utilizzo un parallelo musicale,
per spiegarmi: se alla radio ci facessero ascoltare, che so, i
Carcass, e lo facessero attraverso una programmazione a tappeto, bè,
i Carcass venderebbero come tanti altri musicisti. In Italia fino a
una manciata di mesi fa nessuno prendeva in considerazione la musica
hip-hop… guarda ora!
-La ragazza di Greenville è il
tuo primo romanzo. Ti andrebbe di parlarcene brevemente?
Certo! È un romanzo cui sono molto
legato, infatti spero di trovare il modo di ristamparlo presto, anche
considerando il fatto che ho scritto un racconto collegato alla
vicenda narrata e per forza di cose deve essere letto dopo la storia
principale. Mi piacerebbe comprenderlo in una eventuale ristampa. La
ragazza di Greenville è un romanzo di formazione, al cui
interno ho messo tanto di me. La trama gioca fra il passato e il
presente ed è il mio omaggio al lavoro di tanti scrittori
statunitensi: L’estate della paura, Il
circo dei vampiri, La ragazza della porta
accanto, solo per accennare alcuni titoli. Ma, come dicevo
prima, parla soprattutto di una parte della mia infanzia, del mio
legame con una persona importante e di come certe esperienze si
fondano in maniera indissolubile al nostro essere. Anzi, ne
approfitto, se qualche volenteroso editore fosse interessato a una
riedizione ben curata del romanzo, si faccia avanti!
-Sei anche autore di un'antologia di
racconti, Dead of night. Di cosa parla? A chi la
consiglieresti?
Dead of Night
raccoglie sei racconti non collegati fra di loro. Anche questi
andrebbero ripescati, per qualcuno l’ho già fatto. Leggerlo è un
buon modo per comprendere il mio universo: ci sono storie più
dirette e carnali, alcune con protagonisti bambini (mi capita spesso,
sono i migliori da “plasmare!) e un paio di esempi di narrazione
ambientata in Italia. Faccio anche questo, nonostante dai miei
romanzi pubblicati possa non emergere. Ma la difficoltà per me
rimane proprio questa, ovvero riuscire a pubblicare tutto ciò che
scrivo. Ho racconti, romanzi e romanzi brevi, a manciate! Comunque, a
parere di chi l’ha letto, Dead of Night
contiene alcuni dei miei episodi più brillanti. E se lo dicono i
miei esserini (è così che vengono chiamati i miei lettori!)…
-La tua ultima fatica è William
Killed The Radio Star: hai avuto la capacità di far sì che il
lettore tenga il fiato sospeso fino alla fine e sei riuscito a
ricreare un'atmosfera macabra, paurosa. Com'è nata questa
storia?
La storia di William
è nata dalla volontà di raccontare la mia passione per la musica.
All’inizio volevo addirittura ambientare tutta la vicenda durante
un’unica diretta radiofonica e anche se ciò accade comunque per
buona parte del romanzo, ho poi sentito l’esigenza di non pormi
alcun limite narrativo. Se La ragazza di Greenville
lo possiamo paragonare a una lunga ed elaborata cavalcata sonora
degli Iron Maiden, data la sua struttura, William
è come una canzone dei Misfits, diretta e violenta! C’è chi ne ha
parlato come un thriller, ma forse solo perché al giorno d’oggi
esiste un’idea un poco deviata di horror: non ci sono mostri,
licantropi e vampiri? Allora non è horror! Se seguissimo questo filo
logico, l’horror sarebbe quello che chiamano Urban Fantasy, oppure
i film della saga di Twilight. Credete a me, William
è un fottuto horror! E poi mi ha dato l’occasione di creare alcuni
dei personaggi cui sono più affezionato: il DJ Jazz, Isabelle, Chuck
e naturalmente William…
-La Dunwich Edizioni è la casa
editrice che ha curato il tuo ultimo romanzo. Nel suo catalogo vanta
di trame interessanti e copertine che attirano subito. Com'è nata la
collaborazione con loro?
Nella maniera più tradizionale
possibile: ho inviato loro il mio materiale (proprio William)
e mi hanno contattato. Non mi conoscevano, non ci sono arrivato
tramite amicizie in comune… Hanno fatto quello che dovrebbe fare
una casa editrice, letto e giudicato. Purtroppo non tutti lavorano
così, nonostante dovrebbe ritenersi scontato. Stesso discorso per
quanto riguarda l’editing: è stato tutto molto professionale,
abbiamo lavorato fianco a fianco per tutta l’operazione,
confrontando idee e ponderando alternative, anche se poi la scelta
finale stava a me. È una questione di umiltà e intelligenza, in
fondo sapevo stessero lavorando per la riuscita del prodotto. E io
non sono nessuno, solo un appassionato di storie macabre. Proprio
come i tipi della Dunwich!
-Hai in cantiere qualche nuovo libro?
Come dicevo, di libri ne ho
parecchi nel cassetto. Al momento sto collaborando a diversi
progetti, alcuni “collettivi”, anche se una mia nuova
pubblicazione non è ancora prevista. A primavera debutterà però il
mio primo fumetto (per ora ne è uscito solo un gustoso numero
Preview, in occasione di Lucca Comics) e indovina? Si tratta di una
storia horror! Si intitola The Noise e può
vantare le matite di un grande professionista come Nicola
Genzianella, il disegnatore di Dampyr. Inoltre un mio breve racconto
è stato pubblicato sul numero 6 di Splatter, la
nuova incarnazione della storica rivista e, solo per chi si trova
nelle vicinanze della mia città, Piacenza, ci tengo a segnalare che
ho pubblicato un romanzo breve autoprodotto. Si intitola Who’s
Dead Girl? ed è una gustosa storia nera, piena di sesso.
Bè, alla fine posso dire di stare muovendomi abbastanza!
-L'intervista è finita. Ti ringrazio
per essere stato qui con noi, in bocca al lupo per la tua carriera!
-Grazie mille per lo spazio
concessomi, è sempre un piacere potere raccontare qualcosa di me e
del mio lavoro. Invito i lettori a contattarmi se fossero interessati
a quello che faccio, a visitare la mia pagina Facebook e, in
generale, a mantenere viva la nera fiamma dell’orrore.
Horror Rules!
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