Oti-Officine del teatro italiano partecipa al giorno della memoria come può
fare un teatro: mettendo in scena spettacoli che raccontino quel male, affinché
la memoria rimanga vigile.
L’odio non
nasce solo dall'ignoranza. Non erano ignoranti i nazisti, come oggi non sono
ignoranti tutti quelli che emergono dall'anonimato per tacciare altri di diversità e poterli insultare,
quando non annientare. Per questo, l’antidoto non sta nel moralismo, ma nella
capacità di ascoltare l’altro ed entrare veramente in dialogo con lui,
superando le barriere del pregiudizio. Capire l'altro attraverso la sua storia,
e di qui capire noi stessi: questo ci permette di fare il teatro, questo è il
suo compito.
26 gennaio, ore 21 | BRANCACCINO
LA TREGUA, da Primo Levi, lettura scenica di e con Riccardo Bocci. Produzione
Daf
La Tregua è un romanzo complesso e profondamente ricco, alla principale
linea narrativa del viaggio di ritorno, si intrecciano le storie dei personaggi
che primo Levi incontra in questa vera e propria odissea, le riflessioni di
carattere morale, storico e politico dell'autore sui fatti appena accaduti, e
sulle prove che lui e i suoi compagni di avventura saranno chiamati ad
affrontare una volta tornati a casa. Senza dubbio la bellezza del racconto è
data dal linguaggio e dalla descrizione dei personaggi che l'autore tratteggia
con la capacità analitica di un uomo di scienza e anima con la sensibilità di
un poeta. Colpisce la vitalità di queste storie, l'immediatezza con cui si
passa dal dramma alla vera e propria commedia, affascina il modo in cui questi
compagni di ventura e di sventura di Levi lasciano l'anonimato per entrare a
far parte del mondo delle persone conosciute, care e amiche. È dunque stato
soprattutto questo aspetto del romanzo a suggerirmi la semplice e drammatica
considerazione che l'unico modo per comprendere le tragedie di popoli, nazioni,
intere comunità, è entrare nella vita dei singoli uomini, donne e bambini che
di questi informi insiemi collettivi fanno parte. Solo attraverso le loro
storie personali possiamo, forse, partecipare alle loro terribili vicende
umane. Racconteranno dunque di loro stessi il piccolo Hurbinek, Mordo Nahum,
Cesare, Flora, Tramonto, Il Moro, il signor Unverdorben e lo stesso Primo Levi,
nella speranza che queste testimonianze ci parlino di ogni singolo bambino,
ogni donna e ogni uomo che in questo momento stanno vivendo quello che
pensavamo essere solo un vergognoso e brutale oscuramento dell'umano sentire e
che rivive invece nei tanti olocausti che si consumano ogni giorno sotto i
nostri occhi. (Riccardo Bocci)
27 gennaio, ore 21 | SALA UMBERTO
FILASTROCCHE DELLA NERA LUCE. CRONACHE
DELLA SHOAH, di Giuseppe Manfridi, con Evelina Meghnagi, Lorenzo Macrì e Giuseppe Manfridi. Viola Produzioni
Come si può
usare la filastrocca per raccontare il dramma della Shoah? La risposta è nelle
parole di Claudio Giovanardi, nell'introduzione al libro, che rivela già nel
lancinante ossimoro del titolo “la contraddizione che sta a premessa del
racconto: la tragedia dell’Olocausto in forma di filastrocche. Ma come? Una
materia così grave accomodata in una forma che si usa per le fiabe dei bambini?
Esattamente. Di fronte agli abissi del male siamo tutti bambini e ci mettiamo in
ascolto pieni di speranza e di paura”.
Quello di
Manfridi non è il solito testo celebrativo, non è una storia da cui trarre un
film, non è una testimonianza storica. Semplicemente un coro di voci sommesse,
sussurranti, che si accendono come lucciole in una notte senza luna. Semplici
filastrocche, di quelle che una volta si leggevano ai bambini che, da grandi,
avrebbero a loro volta raccontato ai propri figli e nipoti. Questo, dalla notte
dei tempi, il modo di tramandare il sapere, le storie di famiglia, le gesta di
popoli ed eroi.
Cosa resterà
della Shoah quando l'ultimo superstite avrà smesso di raccontare? Un capitolo
in un libro di storia? Forse, a meno che non impariamo a raccontare questa, ed
altre storie, a voce, come si faceva una volta, in quel modo antico che ci ha
permesso di ricordare ciò che sui libri di storia ancora non c’era. O che non
ci sarebbe mai stato. È un dono lasciato ai posteri. È l'opportunità di
cantare, come una volta gli aedi, una storia che appartiene all'umanità. Non la
tragedia di un popolo vittima di un altro, ma quella di una grande famiglia,
composta da tanti colori, che parla tante lingue, che abita tante terre, e che
soffre sempre nello stesso modo. Quella grande famiglia umana che assiste
ancora oggi a stermini e distruzioni di massa e per la quale, troppo spesso, la
storia non è maestra di vita.
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