Vi avevo già parlato di questo distopico qui e avevo già avuto il piacere di ospitare con un’intervista Roberto Ritondale poco dopo l’uscita del suo romanzo.
Con le notizie e dichiarazioni degli ultimi giorni, con gli anziani definiti non indispensabili per la società e con l’idea iniziale di vietare gli spostamenti agli over 70, La città senza rughe è un romanzo che ritorna prepotentemente di attualità e che tutti dovremmo leggere.
Como, 2040. Un regime dittatoriale si è instaurato sulla città e impone ai cittadini il culto della produttività e della bellezza fisica. In questa nuova società, non c’è spazio per gli anziani, che sono vittime di emarginazione e addirittura deportati. Ma quando la nonna Etilla, scompare, suo nipote Ezio non ci sta…
Questa è la storia partorita dalla fantasia di Roberto Ritondale, autore pluripremiato di romanzi, racconti e raccolte di poesie. Ritondale è anche redattore per l’Ansa e sceneggiatore radiofonico.
Roberto Ritondale, il tuo nuovo libro La città senza rughe è una favola distopica, che immagina Como trasformata in una città-stato sotto un regime dittatoriale, che sfrutta la tecnologia per opprimere i suoi cittadini. Quali sono le opere a cui ti sei maggiormente ispirato per immaginare questo scenario?
I miei riferimenti sono gli autori distopici che amo, George Orwell e Ray Bradbury. Ma sento forte l’ambizione di andare al di là del genere distopico, che prevede quasi sempre finali cupi e senza speranza. Per questo mi piace immaginare un nuovo sottogenere: il futurealismo, ovvero la letteratura come strumento di critica sociale, come accadeva per il neorealismo, ma in un futuro prossimo e realistico che lascia tracce di rinascita e di riscatto. Per chi fosse interessato, sul mio sito mi sono divertito a scrivere il Manifesto del Futurealismo.
I protagonisti del tuo libro sono quattro ragazzi quindicenni che si oppongono al regime e ai suoi valori perversi. C’è un messaggio che il tuo libro vuole trasmettere ai suoi lettori più giovani?
Sono partito da un presupposto: la nostra società corre troppo veloce e non è più grado di aspettare gli ultimi e i fragili, in particolare gli anziani. Non è più in grado di rispettarli. A chi affidarli? Sicuramente ai ragazzi, che amano profondamente i loro nonni. Allora ho pensato a un romanzo che fosse in grado di parlare ai più giovani, con i quali si è era già creato negli anni scorsi un legame speciale grazie a un altro mio romanzo, Sotto un cielo di carta.
Nel tuo romanzo gli anziani sono considerati una categoria inutile e un peso per la società. Quale ritieni che sia invece il loro valore all’interno della nostra comunità?
Ti rispondo con un proverbio africano citato nel libro: “Un anziano che muore è una biblioteca che brucia”. A lungo i nostri amati vecchi sono stati un punto di riferimento, il perno delle nostre famiglie, la fonte di saggezza capace di dissetarci. Poi abbiamo cominciato a liberarcene, a parcheggiarli nelle case di riposo. Lavoriamo come matti e spendiamo molta parte dei soldi guadagnati per pagare badanti e ospizi. È una società che all’improvviso è impazzita e ha ribaltato valori consolidati, barattando l’affetto con l’economia, la salute con il mercato.
Hai disseminato il tuo libro di numerose citazioni di grandi autori del passato, come Pavese, Machiavelli e Kafka. Inoltre, nella storia, la poesia ha un ruolo molto speciale. Quale credi che possa essere il ruolo della letteratura rispetto all’omologazione e all’oppressione che racconti ne La città senza rughe?
Quando incontro gli studenti per parlare dei miei romanzi, dico sempre che devono studiare non perché lo impone un genitore, e nemmeno per timore di un professore severo. Devono leggere e informarsi per se stessi, perché la conoscenza li renderà migliori, perché la letteratura li farà viaggiare trasformandoli in cittadini del mondo, perché la poesia affinerà la sensibilità delle loro anime.
Anche la tecnologia e il suo utilizzo sono un tema molto importante all’interno del romanzo. Per esempio, il regime di Como utilizza dei microchip per controllare la popolazione. Questa immagine distopica della tecnologia riflette una tua preoccupazione?
La tecnologia ha molto semplificato le nostre vite, è stata utile per migliorare la qualità della nostra esistenza e potenziare le connessioni. Ma l’eccesso di tecnologia, come del resto ogni eccesso, ci rende peggiori. Lo avevo già denunciato in Sotto un cielo di carta: crediamo di essere più vicini e invece ci stiamo allontanando, pensiamo di avere più amici e invece ci ritroviamo più soli. La rete, un po’ alla volta, è diventata ragnatela, imprigionandoci in una realtà virtuale che spesso ha poco o nulla della vita reale.
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