Ospite del giorno è Luca Vanoli, autore classe 1989 che ha esordito nel panorama letterario con il giallo storico Una manciata di cenere.
Il suo secondo romanzo si intitola Il Quarto e il Quinto e uscirà il 1 febbraio 2021. Potete pre ordinarlo qui su amazon.
Una manciata di cenere basa la sua trama su una maledizione lanciata dai Barberini ai danni dei Tebaldi, colpevoli di averli spodestati. Come ha preso forma questa storia?
L’idea della maledizione nasce quasi per caso, mentre leggevo dei guai che avevano travolto il casato dei Barberini in seguito alla morte di papa Urbano VIII, il suo membro più illustre. Ho quindi iniziato a fantasticare sul loro simbolo araldico, le api, e a pensare a una maledizione, che potesse essere rievocata proprio dalla presenza di fitti sciami d’api sulle scene dei delitti. E così è nata la storia del notaio Attilio Tebaldi, che, a causa della sua smodata ambizione, sostituisce col tradimento il suo casato a quello dei Barberini, senza sapere che sta condannando se stesso e la sua famiglia ai peggiori patimenti.
Come nasce il personaggio di Tullio Corbet? Ti sei ispirato a qualcuno di realmente esistito?
Il personaggio di Tullio Corbet si è evoluto nel corso della stesura del romanzo: inizialmente l’ho un po’ trascurato, dando maggior attenzione alla trama e all’intrigo giallo. Avevo scelto un avvocato, perché mi serviva qualcuno esperto di diritto, francese perchè mi interessava parlare di Francia (non a caso la sua spalla, Padre Seàn è irlandese). Poi col tempo l’ho raffinato via via, aggiungendo aspetti della sua personalità, primo tra tutti l’altissimo senso della Giustizia, in nome del quale non esita a compiere gesti di insubordinazione all’Autorità Suprema, ma anche un passato di scelte sofferte. Non si ispira a un personaggio particolare: è forse un idealista, anticipatore di idee di un secolo che verrà (ad esempio, la strenua contestazione alle pratiche dei tribunali, basate sull’uso della tortura). Ha alcuni tratti che lo accomuna anche a me, ma non arriverei a definirlo un alter ego. Mi piace sottolineare come io cerchi di caratterizzare allo stesso modo il personaggio dell’investigatore e gli altri, uomini e donne, coinvolti nella storia: anzi, preferisco trascurare un po’ di due protagonisti, dare loro meno attenzione per esaltare le altre personalità, che di solito compaiono in un romanzo solo.
Nel tuo romanzo, riesci a mescolare perfettamente elementi di fantasia con quelli reali. Quanto studio c’è stato per ricostruire le vicende storiche? Ed è stato difficile far combaciare la storia inventata della famiglia Tebaldi con quanto realmente accaduto?
La storia della maledizione trae origine da un fatto storico realmente accaduto, poi il romanzo si inventa una evoluzione diversa dei fatti ma poi il finale si ricongiunge con la realtà. È preponderante la parte ‘inventata’: i grandi eventi della storia (la Guerra dei Trent’anni, la guerre irlandesi, l’assedio di La Rochelle) sono alle spalle, hanno segnato i protagonisti, formando il loro carattere. Ma non sono in corso di svolgimento. In questo senso, il mio compito è stato più semplice, perché è bastato selezionare fatti interessanti della prima metà del XVII secolo e inserirli nel vissuto di alcuni personaggi. Ti svelo anche che, inizialmente, prevedevo di ambientare la storia in un feudo di fantasia, senza una collocazione specifica nello spazio, purché fosse vicino Roma. Questo posto si chiamava Umbrocolle, nella mia mente. Poi, facendo maggiori indagini, ho trovato Monterotondo, quasi per caso, che aveva tutte – ma davvero tutte - le caratteristiche necessarie : • Era stata feudo dei Barberini • Era stata espropriata durante la crisi tra i Barberini eredi e Innocenzo X • Aveva uno splendido palazzo sulla cima di una collina, come quello che io stavo descrivendo nel mio romanzo • Aveva un bosco nelle vicinanze, con le rovine del Castello di Grotta Marozza Mi è venuto naturale spostare subito l’ambientazione del romanzo lì: con influenze benefiche, perché a quel punto potevo usare la Monterotondo del Seicento per descrivere gli ambienti, la strade, le chiese e le piazze, in modo da dare alla storia una connotazione ancora più realistica.
Sin da piccolo ho amato i gialli di Agatha Christie, conosco tutte le avventure di Poirot e Miss Marple. Questi gialli mi hanno generato la voglia di provare a imitare il genio inarrivabile della Signora del Giallo, quella sua dote straordinaria di concepire un meccanismo giallo perfetto. L’altra mia grande passione sono i romanzi storici e le biografie dei grandi personaggi che hanno fatto la storia. A scuola Storia era la mia materia preferita, ma all’università mi sono orientato verso altro. Scrivere una romanzo storico era quindi un modo per ‘mantenere vivi i rapporti’ con Lei, di parlare di Storia raccontando le vicende di personaggi che vivono in un’altra epoca, il Secolo di Ferro.
Qualche anticipazione sul secondo volume, che uscirà il 1 febbraio 2021?
Il secondo romanzo si intitola ‘Il Quarto e il Quinto’. Ci saranno sempre Corbet e Padre Seàn, questa volta alla prese con un’indagine complessa sulla rive del lago di Bolsena.
Dapprima, si troveranno a investigare su un fanciulla che si sospetta posseduta dallo spettro di Beatrice Cenci, la vergine parricida, condannata a morte in Roma nel 1599.
Poi, in seguito a un omicidio, verranno coinvolti nel processo criminale che seguirà; e Corbet ancora una volta dovrà disubbidire ai comandi dell’Autorità, schierandosi dalla parte di una persona che ritiene innocente. Ne assumerà le difese di fronte alla Corte Criminale, sfidando i giudici e i procuratori a colpi di astuzia e ingegno.
Tra i punti interessanti del libro, oltre all’intrigo giallo, mi sento di sottolineare:
- Una ricostruzioni storica accurata dei processi criminali del XVII secolo: si potrebbe quasi considerare ‘Il Quarto e il Quinto’ come un legal thriller del Seicento, dove gli avvocati a difesa avevano strettissimi margini di manovra.
- Una rievocazione – parallela al romanzo - della vicenda di Beatrice Cenci e dei suoi fratelli, accusati e condannati a morte per aver ordito l’assassinio del padre, Francesco Cenci.
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